Passione Scuola
un percorso innovativo di AI per docenti
Bella prof, ciao maestra, maeeeestra! Ecco questi sono i modi in cui mi chiamano gli studenti quando vado a supportare quei santi dei docenti che lavorano nella scuola pubblica, immagino sia quindi qualcosa di familiare per te, che mi stai leggendo, sentirti chiamare così. La scuola è una passione per me. L’origine della parola “scuola” è sorprendentemente poetica, e quasi nessuno ci pensa mentre la usa. Viene dal latino schŏla, che a sua volta arriva dal greco antico σχολή (scholḗ). E qui sta la parte interessante: in greco scholḗ non significava “luogo di studio” né “istituzione educativa”. Significava “tempo libero”, “agiatezza”, “pausa dal lavoro”. L’idea era che l’apprendimento richiedesse spazio mentale, non costrizione. La scuola nasceva come ciò che fai quando non sei schiacciato dal dover fare, ma puoi dedicarti al capire. Da “tempo libero” diventa “luogo in cui si coltiva il pensiero”. Una di quelle etimologie che ribaltano la percezione: la scuola come pausa, non come peso. E ogni tanto sarebbe bello ricordarlo. Sia agli studenti che a voi stessi, anzi, noi stessi.
e ora: letsgoski!
("Letsgoski" è un'espressione nata su TikTok dal content creator MARINOSKI. Viene usata per esprimere entusiasmo, vittoria o per incoraggiare, con significati simili a "avanti così!" o "alla grande!". Di solito è utilizzato dai dai più giovani, ma lo trovo così simpatico e carino che è ormai lo dico quotidianamente anche io e già solo pensare ai banchi di scuola mi fa regredire di 20 anni. Altri termini che amo: flexare, stai chill e dissare.)
Se la scuola è quello spazio di respiro in cui si coltiva il pensiero, ha senso parlare anche di come stia cambiando il modo di coltivarlo. Le metodologie didattiche innovative non sono “mode”, sono tentativi concreti di riportare l’apprendimento al suo significato originario: tempo di qualità, relazione, curiosità, pause in cui capire meglio. Non servono a complicare il lavoro dei docenti, ma a restituire strumenti che liberano energie invece di prosciugarle. La didattica per competenze, l’apprendimento esperienziale, il cooperative learning, la flipped classroom, il pensiero computazionale e tutta la pedagogia attiva hanno lo stesso obiettivo: trasformare la classe in un ambiente in cui si impara facendo, non subendo; osservando, non memorizzando; partecipando, non assistendo. E la tecnologia entra qui, non come sostituzione, ma come amplificatore.
Gli strumenti digitali oggi disponibili sono molti, ma non devono spaventare. I più utili non sono quelli “per far lavorare gli studenti”, bensì quelli che restituiscono tempo ai docenti. La GenAI è il primo di questi: Gemini, ChatGPT e gli altri modelli generativi permettono di creare verifiche, schede personalizzate, semplificazioni di testi, spiegazioni differenziate, traduzioni e adattamenti. L’intelligenza artificiale non toglie la professionalità dell’insegnante, le restituisce spazio. NotebookLM è forse il più forte in questo: caricando materiali propri, è in grado di generare mappe concettuali, sintesi chiare, collegamenti, attività mirate. Monica diventa un alleato per visualizzare concetti in forma di mappe mentali, utilissime per DSA, per il cooperative learning e per rendere più leggibile qualsiasi argomento.
Genially porta un pezzo di narrazione interattiva dentro la didattica, trasformando lezioni e attività in percorsi navigabili. Suno apre un’altra dimensione: la creazione di audio, canzoni e stimoli sonori che possono essere utilizzati in classe per storie, routine, percorsi emotivi o inclusivi. E se la scuola ha tecnologia Apple, si apre un mondo: Pages, Keynote, Freeform, GarageBand, iMovie, Clips. Un ecosistema che permette di costruire materiali visivi, musicali, narrativi con una fluidità che molti Android/Windows non riescono a replicare. In alcune scuole cambia proprio la qualità dell’esperienza, perché l’ambiente Apple permette ai docenti di creare contenuti in modo quasi artigianale, ma con strumenti professionali.
Tutte queste tecnologie servono solo a una cosa: rimettere il docente al centro, con più tempo, più respiro, più libertà mentale. La stessa libertà evocata dalla parola scholḗ.
Diventiamo draghi della tecnologia in dieci ore
Immaginiamo un percorso semplice, realistico e soprattutto sostenibile per un docente che non vuole diventare un influencer del digitale, ma semplicemente usare ciò che funziona. Partiamo da una quinta elementare tipica: classe svogliata, attenzione corta, ma entusiasmo infinito quando si parla di videogiochi. Invece di demonizzare questa energia, la si sposta dentro la didattica. Se insegni storia puoi sfruttare Minecraft per creare un mondo etrusco, ma senza l’ansia di doverlo costruire tu. Minecraft è complesso, richiede tempo, logica e pazienza. Non serve che lo faccia il docente, lo fanno gli studenti. Se Minecraft risulta troppo, si usa lo stesso principio di immaginazione con disegni, plastici, brevi video o scene prese da film storici. L’obiettivo è dare forma a un mondo.
Mentre la classe costruisce quel mondo, introduci il concetto di gamification. Spieghi che la storia può essere raccontata come un gioco di ruoli. Gli etruschi erano un popolo misterioso, abile nella metallurgia, organizzato in città-stato, attento al culto degli antenati e imponente nelle necropoli che ancora oggi parlano per loro. Lavori con la classe come se stessero progettando un videogioco ambientato nel passato: quali personaggi, quali luoghi, quali missioni, quale estetica. L’apprendimento scorre perché è travestito da gioco, ma resta apprendimento.
A questo punto hai bisogno di chiarezza. La mappa concettuale, invece di farla a mano, la generi con NotebookLM o con Monica. Prendi il materiale, lo inserisci, lasci che il sistema produca una mappa leggibile in cui gli studenti possano orientarsi mentre costruiscono la loro narrazione. La mappa non è il fine, è la bussola.
Quando il mondo è stato immaginato, lo si fa suonare. Si parte dai feedback degli studenti: che musica immaginano per gli etruschi, quali atmosfere, quali emozioni. Suno permette di creare una canzone da zero, trasformando le idee della classe in un brano che diventa parte del progetto. È un modo per misurare la loro comprensione senza chiedere un’interrogazione. La musica diventa valutazione implicita, creativa, vivace.
Infine gli etruschi prendono vita in scena, ma non serve un teatro. Si può costruire un video montato su Canva, con immagini, brevi clip, voce narrante e musica generata. La classe diventa autrice di un prodotto digitale che racconta un popolo antico attraverso strumenti contemporanei. È storia, tecnologia, creatività e relazione fuse in un percorso che in dieci ore trasforma la percezione del digitale: non più un nemico, ma un ponte.
e alle medie? scusate, secondaria di 1° grado?
Alle medie lo scenario cambia. Se alla primaria la tecnologia è nelle mani del docente, alle medie la situazione si ribalta: sono gli studenti a dominarla con una naturalezza che spiazza. Il docente non deve “recuperare il gap”, deve imparare a guidare quella competenza spontanea verso qualcosa che abbia senso didattico. Qui la tecnologia non è più solo un supporto all’insegnante, ma diventa un linguaggio che gli studenti possono usare in autonomia per costruire, rappresentare, dimostrare. Tu imposti la direzione, loro si muovono veloci.
Immagina una prima media alle prese con un tema classico: la nascita delle civiltà urbane. Posti la domanda iniziale: come racconteresti la vita di una città antica usando gli strumenti che conosci oggi? Non chiedi di memorizzare, chiedi di progettare. Qui scatta la leva giusta: non si sentono interrogati, si sentono coinvolti.
La classe lavora a gruppi. Il primo prende in mano Minecraft Education o un altro world-builder se lo preferiscono (Roblox Studio, Tinkercad per versioni più semplici). Loro progettano la città: mura, mercato, necropoli, tempio, strade. Tu non devi costruire nulla, devi definire le regole: quali elementi deve contenere una città, quali funzioni, quali spazi pubblici. A questo livello la tecnologia è nelle loro mani e diventa un pretesto per fare ricerca. Ogni scelta che fanno deve essere argomentata: perché questa struttura è qui? Che funzione aveva? Come lo sappiamo? E lo puoi usare come idea per tutte le civiltà che si affronteranno, in modo tale da avere un nuovo modo di fare didattica: personale e convolgente.
Il secondo gruppo lavora sulla narrazione. Qui entri nel tecnico dell’apprendimento attivo: storyline, ruoli, dinamiche di gamification. Spieghi che una civiltà si comprende mettendosi nei panni delle persone che la abitavano. Gli etruschi non erano un popolo monolitico: erano organizzati in città-stato autonome, esperti di metallurgia, grandi commercianti, profondamente religiosi e legati ai rituali funerari. Con questa base costruiscono personaggi, eventi, microstorie. Non devono fare un romanzo, devono creare un mondo credibile.
Il terzo gruppo lavora con gli strumenti strutturali: NotebookLM o Monica. Caricano i materiali, estraggono concetti, riorganizzano le informazioni, creano una mappa della città, dei ruoli sociali, delle attività economiche. Alle medie la mappa concettuale non è un accessorio, è un ponte: aiuta a passare dal caos delle idee alla struttura del progetto. E qui succede una cosa interessante: la tecnologia fa emergere connessioni che a mano non vedrebbero.
Poi arriva il momento della musica. Con Suno creano una colonna sonora basata sulle emozioni della città: rituale, celebrazione, commercio, conflitto. La musica diventa un’interpretazione storica in forma emotiva. Gli chiedi di motivare le scelte: perché un ritmo lento? Perché strumenti cupi? Cosa vogliono evocare? È un modo invisibile per farli riflettere sulla vita quotidiana dell’epoca senza fare un compito tradizionale.
Infine mettono tutto in scena. Questo è il punto in cui la creatività supera la didattica classica. Canva permette un montaggio video completo: si costruisce un trailer della città etrusca, un documentario breve, un reportage “dal passato”, un tour guidato virtuale. Qui la tecnologia è totalmente nelle loro mani, mentre tu ti occupi della parte più alta: verificare la correttezza storica, la coerenza del racconto, la qualità delle fonti, la chiarezza del messaggio.
Nelle medie la tecnologia smette di essere uno strumento per “fare più bella la lezione” e diventa un ambiente di lavoro in cui gli studenti si muovono da protagonisti. Il docente non deve superare gli studenti, deve guidarli con metodo, struttura e consapevolezza. E dieci ore bastano per trasformare un capitolo di storia in un progetto digitale completo, rigoroso e sorprendentemente coinvolgente.
quando parlo di gruppi intendo…
Sapete ormai che studio per diventare counselor e quindi adesso vi beccate il pippozzo sulla teoria dei gruppi, uno dei tanti approcci eh, però visto che sto scrivendo io per darvi un punto di vista davvero personale, integro con la mia concezione di gruppo. Nel counseling il gruppo non è un insieme casuale di persone sedute nella stessa stanza. È un organismo vivo, con una struttura, dei livelli e delle dinamiche che si attivano inevitabilmente, indipendentemente da ciò che il conduttore fa o non fa. Il gruppo deve essere visto quindi come un sistema composto da individui, relazioni, ruoli, confini e obiettivi condivisi. Non sono solo persone, ma ci sono anche gli altri aspetti fondamentali.
Il gruppo ha una struttura funzionale. Esiste un confine che separa il dentro dal fuori, un setting che contiene, un contratto che definisce scopo e regole. Anche il conduttore, e quindi voi, cari docente, siete parte integrante del gruppo. Il conduttore non osserva da lontano, ma assume il ruolo di guida, di specchio e di regolatore delle energie. Ogni gruppo sviluppa ruoli spontanei: chi parla troppo, chi parla poco, chi media, chi contesta, chi protegge, chi destabilizza. Questi ruoli sono funzioni che emergono per mantenere l’equilibrio del sistema.
Il gruppo ha una direzione evolutiva. Passa da una fase iniziale di orientamento e dipendenza, attraversa momenti di conflitto e differenziazione, entra in una fase di coesione e lavoro, e si avvia infine verso la separazione. Non è un percorso lineare, ma ciclico: il gruppo sale e scende, avanza e torna indietro, impara a crescere nella sua interezza. Questa è la logica profonda: un gruppo è un sistema complesso che vive, reagisce, respira e cambia.
Per definirlo gruppo, intendo un insieme di almeno cinque persone, perchè sotto questo numero diventa un lavoro quasi individuale allargato, le dinamiche di ruolo si impoveriscono e il gruppo non ha abbastanza massa critica per “scaldarsi”. Sopra i dodici si perde la possibilità di uno scambio autentico, aumenta il rumore e cala la sicurezza psicologica; il conduttore non riesce più a contenere davvero ciò che accade. Consigli a grandi linee:
alla scuola dell’infanzia si considerano gruppi di almeno 5–6 bambini per osservare competenze sociali emergenti;
alla primaria i lavori di gruppo efficaci partono da 4–5 membri, perché è la soglia in cui iniziano a comparire ruoli, leadership spontanee, conflitti costruttivi;
alla secondaria si lavora spesso in gruppi da 5 a 8, perché a quell’età le dinamiche diventano più complesse e servono più voci per generare movimento.
e all’infanzia?
Alla scuola dell’infanzia il rapporto tra tecnologia e bambini è completamente diverso. Qui la priorità assoluta è la loro crescita emotiva, motoria, linguistica e simbolica. La tecnologia non può essere “messa in mano ai bambini” con leggerezza, né deve diventare un surrogato della relazione. Anzi, è spesso sconsigliato introdurla direttamente, e ogni scelta in questo senso va sempre condivisa e concordata con le famiglie, perché l’esposizione precoce può essere dannosa se non regolata con cura. Per questo motivo il digitale, qui, è uno strumento per le docenti, non per i bambini. Serve a progettare meglio, osservare meglio, raccontare meglio. Immagina un progetto dedicato alle emozioni o alle stagioni, o alla scoperta del corpo, dei suoni, dei colori. La tecnologia entra dietro le quinte, come un supporto invisibile che permette alla docente di portare in sezione materiali più ricchi, più personalizzati e più coerenti con il percorso educativo. È un lavoro creativo che rimane nelle mani dell’adulto, lasciando ai bambini l’esperienza diretta, materica, corporea, simbolica.
Il primo passo è la progettazione. Le docenti possono usare la GenAI per costruire storie personalizzate, racconti brevi, scenari narrativi pensati per i bisogni specifici del gruppo sezione. Bambini timidi, bambini più vivaci, bambini che hanno bisogno di rituali rassicuranti: la narrativa può essere modellata per loro. Una maestra può chiedere a ChatGPT o Gemini una storia che introduca la paura, la rabbia, la condivisione, la pazienza, usando animali, personaggi fantastici o ambienti naturali. L’obiettivo non è “generare contenuti digitali”, ma avere più materiale per raccontare, leggere, modulare il clima emotivo del gruppo.
Poi c’è la parte visiva. NotebookLM e Monica diventano strumenti per organizzare il percorso educativo, non per mostrarlo ai bambini. Una docente può caricare testi, appunti pedagogici, osservazioni del gruppo e ottenere una mappa mentale che le aiuti a costruire un itinerario fatto di attività motorie, giochi simbolici, circle time, laboratori sensoriali. La tecnologia aiuta la maestra a vedere meglio cosa sta facendo, a riorganizzare, a personalizzare. Non toglie spontaneità, la struttura.
La musica è un altro alleato discreto. Con Suno le docenti possono creare canzoni personalizzate per routine quotidiane: il momento del riordino, il passaggio al bagno, il saluto del mattino, la calma dopo il gioco libero. Una canzone costruita sulle caratteristiche del gruppo diventa uno strumento educativo potentissimo, perché i bambini rispondono molto più alle atmosfere sonore che alle spiegazioni verbali. Anche qui la tecnologia è uno strumento dell’adulto, non del bambino.
E poi c’è il racconto digitale. Canva permette alla docente di creare brevi video da mostrare durante il cerchio: piccoli collage di immagini, suoni e colori che introducono un tema. Non è un intrattenimento passivo, ma un trampolino per un’attività concreta: un video di un bosco autunnale porta a raccogliere foglie nel giardino, un video che racconta il mare apre un laboratorio con la sabbia, un video sulle emozioni diventa un pretesto per fare facce buffe insieme.
All’infanzia la tecnologia non è un’esperienza che i bambini vivono. È un supporto professionale che le docenti utilizzano per rendere la loro proposta educativa più ricca, più intenzionale e più aderente ai bisogni reali del gruppo sezione. È discreta, responsabile, mai invasiva. È uno strumento che potenzia il lavoro educativo senza interferire con la relazione diretta, che è e rimane il vero centro della scuola dell’infanzia.

